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La gestione colore nel web e nei dispositivi mobile

La gestione colore nel web e nei dispositivi mobile

07 Marzo 2021

Manuel Babolin

7 min

La gestione colore nel web e nei dispositivi mobile

“In passato, i designer e gli sviluppatori sono stati in grado di cavarsela senza molte conoscenze su come funziona la gestione del colore, ma non sarà così in futuro.”

2017 – bjango.com

Nel precedente articolo abbiamo visto come il profilo colore Display P3 sia diventato lo standard successivo al classico sRGB in ambito web. Parallelamente, è una specifica tecnica dei display su cui i produttori stanno puntando sempre più: mi riferisco a notebook, tablet ma specialmente all’ambito smartphone, aprendo così la strada verso al cosiddetto “Wide Gamut” fruibile da tutti. Non è più una nicchia riservata agli addetti ai lavori, ma qualcosa che può essere alla portata della maggior parte delle persone visto che i dispositivi in grado di supportarla sono ormai prodotti in larga scala e ad un prezzo abbordabile.

Quando si parla di Wide Gamut non si fa riferimento ad un specifico spazio colore. Molto spesso, e in modo indiretto, ci si riferisce proprio allo spazio colore Display P3, anche se questa associazione non va presa come modello, anzi, è sempre meglio specificare con il nome corretto il profilo a cui ci si riferisce.

La vera rivoluzione non è il profilo Display P3 in sé ma il fatto che stiamo passando ad un sistema che contempla la gestione colore in tutti i dispositivi, compresi quelli mobile che fino a qualche anno fa ne erano sprovvisti.

Purtroppo nel corso degli anni si è sviluppato un bias cognitivo incredibilmente forte per il quale il settore mobile e il web sono la cosa più lontana dalla gestione colore, e che l’unica cosa sicura da utilizzare in questi ambiti sia lo spazio colore sRGB. Questo è stato vero per molti anni ma non oggi, e il fatto di trovarsi davanti a un cambiamento già allo stato avanzato sembra spaventare molti professionisti, tanto da spingerli a difendere le loro ideologie quasi fossero una religione. 

Questa è la cosa più lontana dal pensiero di evoluzione di una tecnologia. Si continua a pensare alla gestione colore legata solo alle arti grafiche, alla stampa o alla fotografia. C’è invece un settore che negli ultimi 5 anni ha avuto degli sviluppi incredibili, un settore snobbato da sempre che però ha saputo formare e innovare parlando ad altri professionisti, gli sviluppatori, che di gestione colore non ne avevano mai sentito parlare prima e che ad oggi solo una piccola minoranza padroneggia. Sto parlando del settore dei sistemi operativi per dispositivi mobili e, di conseguenza, dei browser web.

Non è difficile immaginarsi chi siano i player di questo ambito. Oggi la quasi totalità dei dispositivi utilizzano il sistema operativo iOS (Apple) oppure Android (Google) e i browser più utilizzati su questi dispositivi sono Safari e Google Chrome.

Non ci soffermeremo sui vari motori di render utilizzati dai browser o delle evoluzioni nel codice che ora permettono l’utilizzo di stringhe per definire colori all’interno dello spazio Display P3, ma resteremo nell’ambito delle immagini.

La gestione colore su web apre la strada a molte opportunità e allo stesso tempo richiede uno sforzo in più per chi programma, abituato a preoccuparsi solamente terne di valori RGB. Diventa fondamentale, in ambiente di sviluppo, sapere come gestire correttamente sia il codice che le immagini.

Per chi non ha le competenze, lavorare tutto in sRGB “come si è sempre fatto” rimarrà la strada con meno problemi. Ma se vogliamo portare i nostri progetti ad uno step successivo, sfruttare fino in fondo i dispositivi che sono sul mercato, dobbiamo adeguarci, studiare e formarci.

Poter sfruttare una gamma ampia di colori di fatto non prevede costi particolari: la parte di programmazione richiede maggiore attenzione nel codice, mentre la postproduzione delle foto prevede il riadattamento del flusso di lavoro ma nulla di più.

Nel nostro settore parlare di queste tematiche sembra una cosa fuori dal mondo per le aziende e studi fotografici, che si sentono in balìa di logiche che non conoscono e, di conseguenza, preferiscono rimanere sulla strada conosciuta.

“Perché mai utilizzare per il web un profilo come il Display P3 di cui non si è mai parlato più di tanto nel settore fotografico? In ogni caso non è affidabile, se non lo fanno gli altri un motivo ci sarà, forse non ne vale la pena”. Sono queste le considerazioni che si sentono e si leggono nell’ambiente, ma sono considerazioni miopi perché purtroppo non tengono conto dell’evoluzione fatta da iOS e Android in questi ultimi anni.

La gestione colore su dispositivi wide-gamut è stata presentata su iOS nel 2016 (iOS 10) e poco dopo su Android nel 2017 (Android 8). Gli smartphone hanno fatto lo stesso percorso dei PC negli anni ’90: sono arrivati ad avere delle prestazioni hardware tali da poter permettere l’introduzione della gestione colore all’interno di tutto il sistema operativo senza impattare significativamente sulla velocità e sulla durata della batteria.

Considerando la vita media di uno smartphone e il fatto che, dall’uscita dei sistemi operativi con la gestione colore, si sono potuti aggiornare anche i dispositivi di generazione precedente, è possibile affermare che i dispositivi mobili in utilizzo oggi sono, per la quasi totalità, equipaggiati con un sistema operativo in grado di gestire il colore.

Potete verificare se il vostro dispositivo e browser supportano la gestione colore visitando la pagina Test sul sito wide-gamut.com

Un’altra obiezione con cui ci si confronta spesso è “Non tutti i dispositivi hanno un display wide gamut e utilizzare immagini con profilo Display P3 o Adobe RGB potrebbe generare problemi per tutti gli altri, che sono la maggioranza. Meglio andare cauti e restare all’sRGB.”
È vero. Ci sono moltissimi dispositivi sRGB in circolazione e ne continuano ad essere venduti, specialmente nella fascia economica; la cosa da non dimenticare però è che comunque questi dispositivi supportano la gestione colore. Quindi se stiamo lavorando con immagini che potrebbero beneficiare di un gamut ampio di colori, come ad esempio quello offerto da Display P3 o Adobe RGB, possiamo tranquillamente basare il nostro flusso di lavoro su questi profili ed esportare per il web con il profilo incorporato. I dispositivi equipaggiati con display in grado di coprire lo standard Display P3 ne trarranno vantaggio, mentre negli altri il sistema operativo si occuperà di gestire opportunamente il colore. È persino possibile gestire manualmente questa fase caricando su un sito web sia l’immagine con profilo Display P3 che quella in sRGB e, tramite uno script, richiedere al browser di visualizzare una o l’altra in base al tipo di display utilizzato dall’utente.

Avere dispositivi con una gestione colore completa e i relativi browser compatibili dunque da la possibilità di utilizzare online immagini potenzialmente con qualsiasi profilo colore. La scelta del profilo ovviamente non può essere casuale: va fatta ponderando la tipologia di immagini che si vogliono pubblicare sul web. In questo contesto la scelta del profilo colore Display P3 è quella più logica visto che i produttori di dispositivi utilizzano sempre di più display in grado di coprire questo spazio colore (che ricordiamo essere all’incirca il 25% più ampio di sRGB) ma potrebbe ricadere anche sull’utilizzo di Adobe RGB.

Non in tutti i contesti avere un gamut ampio di colori può essere utile. Certe immagini possono rientrare benissimo all’interno dello spazio sRGB; in alcuni casi invece fa la differenza, sia a livello puramente percettivo, sia per quanto riguarda la coerenza cromatica di un prodotto. Pensiamo alla fotografia commerciale still life per ecommerce: avere una corrispondenza il più fedele possibile ha un impatto notevole sulla percezione dell’oggetto da parte dell’utente e può ridurre il numero di resi in fase di acquisto.

Basandoci sui dati di articoli e statistiche aziendali di vari settori, abbiamo stimato che approssimativamente il 20% dei resi degli acquisti online sia dovuto alla non conformità cromatica del prodotto ricevuto. Un esempio possono essere i capi di abbigliamento con colori molto intensi come quelli dedicati alle linee sportive, dove vengono utilizzati anche colori fluo che in sRGB risultano impossibili da riprodurre e, se convertiti in questo profilo, portano spesso a zone piatte e trame poco definite.

Le cose però stanno cambiando e alcuni marchi molto noti stanno sfruttando le opportunità offerte dall’ormai diffuso supporto alla gestione colore da parte dei browser e dei dispositivi mobile che generano la maggior parte del traffico web. Per andare nel concreto: negli shop di Nike e Adidas viene utilizzato lo spazio colore Adobe RGB per tutte le foto prodotto, in modo da far percepire al cliente finale il colore, spesso particolarmente saturo, delle scarpe.

Cliccando sull’immagine di esempio qui sotto potete passare dall’immagine in Adobe RGB presa dall’e-commerce di Nike a una conversione in sRGB. Se il vostro dispositivo è wide gamut potete notare la notevole differenza di tonalità fra uno spazio colore e l’altro.

L’evoluzione fatta in questo campo è tanta e il mercato sembra essere maturo per accogliere queste importanti novità. Come abbiamo detto, anche se non tutti i dispositivi hanno un display che supporta un ampio gamut di colori quasi sicuramente avranno una gestione colore attiva e affermare che “sRGB è più sicuro” ormai lascia il tempo che trova. Certo, lavorare tutto in sRGB fa sì che tutti vedano gli stessi colori ma perché limitarsi ad uno standard che in certi casi può essere riduttivo dal punto di vista della resa?

I sistemi operativi sono pronti da anni, l’hardware è in continuo miglioramento e nel prossimo futuro troveremo lo standard wide gamut Display P3 di base nella quasi totalità dei dispositivi. Quello che ancora manca, o sembra mancare, è il lato “umano”: la formazione e la conoscenza di questo nuovo ramo dove la gestione colore si è espansa.

Come anticipato nella citazione all’inizio di questo articolo, è arrivato il momento per gli sviluppatori, agenzie web, fotografi, fotoritoccatori e gli altri professionisti del settore di approfondire e formarsi su questa importantissima cruciale tematica, di cui nei prossimi anni sentiremo parlare sempre più spesso.


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Manuel Babolin

Managing Partner & Digital Retoucher

Manuel Babolin

Manuel Babolin

Managing Partner & Digital Retoucher